Esportare alimenti nei paesi arabi: qualche nozione preliminare

Complici Expo Dubai 2020 e la popolazione degli Emirati Arabi Uniti costituita da quasi il 90% di stranieri espatriati, sempre più aziende agroalimentari italiane puntano ad esportare i propri prodotti nel Golfo Persico. Ma da dove partire? Quali sono i requisiti preliminari per potersi affacciare al mercato arabo? Cerchiamo di analizzare insieme gli elementi più importanti in tema di food and beverage.

Partiamo dall’analisi delle fonti giuridiche per poi presentare l’esempio limite dell’Arabia Saudita.

A differenza dell’Italia, i paesi del Golfo Persico non possono essere di certo definiti come paesi laici. Sebbene in alcuni di essi vi sia una grande apertura nei confronti di religioni diverse da quella islamica, di fatto, il diritto e la religione sono fortemente intrecciati tra loro. Ciò significa che chi voglia accingersi a studiare ed applicare il diritto islamico, deve studiare preliminarmente la “Sharia”, e, per la precisione, il Corano. Quest’ultimo, infatti, contiene ben 500 versetti relativi a regole giuridiche. Sia ben chiaro: non si applicano solo ed esclusivamente le regole Sharaitiche, in quanto di per sè insufficienti a regolare tutto ciò che ci circonda. E’ tuttavia fondamentale rispettare i precetti religiosi e le regole consuetudinarie islamiche poichè preponderanti anche nella risoluzione dei casi avanti le competenti autorità giudiziarie.

In secondo luogo, è necessario inquadrare i paesi arabi nel contesto geopolitico del cosiddetto Gulf Cooperation Council (GCC). Si tratta di un’organizzazione creata nel 1981, sulla falsa riga dell’Unione Europea, con l’obiettivo di integrare e coordinare gli stati membri, nonchè uniformare la normativa interna. Ne fanno parte gli Emirati Arabi Uniti, il Regno del Bahrain, il Regno dell’Arabia Saudita, il Sultanato dell’Oman, il Qatar ed il Kuwait. Da qui ne segue il rispetto, oltre che della normativa interna facente capo al singolo stato membro, anche della regolamentazione del Golfo.

Passiamo ora all’esempio dell’Arabia Saudita ed ipotizziamo di dover esportare i nostri prodotti agroalimentari in quel territorio. Questo è uno dei casi in cui i precetti religiosi fanno parte integrante della stessa costituzione saudita: i principi sanciti nella Legge Fondamentale (“Basic Law of Governance”) sono completamente conformi alla Sharia islamica.

A questo punto, quindi, bisogna verificare che i prodotti destinati al mercato saudita non siano vietati o contengano alimenti/ingredienti vietati dalla regolamentazione saudita.

Primi fra tutti, la carne di maiale rientra tra i prodotti proibiti, sia nella sua forma originale che in quella trasformata o lavorata. Così come qualsiasi elemento di derivazione suina. Si noti bene come nel 2018 la stessa Barilla aveva dovuto ritirare dal mercato saudita, con non poco imbarazzo, il Ragù alla bolognese riportante in etichetta l’ingrediente “carne di suino”.

Passando, poi, ad altri prodotti vietati, troviamo, ad esempio, la noce moscata, i vini alcolici e la carne di rana.

Infine, per quanto concerne la regolamentazione in tema di etichettatura e di sicurezza alimentare si dovrà tenere come riferimento sia la normativa interna saudita, e, quindi, quanto stabilito dalla Saudi Food and Drug Authority (SFDA), che la regolamentazione del Golfo (come, ad esempio, la GSO 9 “Packaged Food Product Label”).


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