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In ogni città spuntano come funghi rivenditori di “Cannabis Light” ad uso alimentare e/o ricreativo. Dalla pasta al tè, moltissimi sono i prodotti commercializzati. Tuttavia, qual è il limite massimo di THC che può essere contenuto nei prodotti? Qual è la loro regolamentazione? Ma soprattutto, dalla vendita di tali prodotti si può incorrere nelle sanzioni penali previste dal Testo Unico sulle sostanze stupefacenti? Quali sono i rischi per il rivenditore?
Di seguito analizzeremo l’attuale disciplina legislativa italiana e quanto stabilito da una recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
La Legge n. 242 del 2 Dicembre 2016 (d’ora in poi L. 242/2016) disciplina la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa (Cannabis sativa L.) delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole [1].
La coltivazione di tali specie è consentita senza autorizzazione e dalla canapa così coltivata è possibile ottenere, tra le altre cose, alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori [2].
D’altra parte, non possono essere lecitamente realizzati prodotti diversi da quelli elencati dall’art. 2, comma 2, legge n. 242 del 2016 e, in particolare, non possono essere vendute foglie, inflorescenze, olio e resina.
Per quanto concerne, invece, il contenuto complessivo di THC, qualora all’esito dei controlli esso risulti superiore allo 0,2% ma entro il limite dello 0,6%, “nessuna responsabilità è posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni (di cui alla presente legge)” [3].
Al contrario, nel caso di superamento di tale valore soglia dello 0,6% possono essere disposti il sequestro nonché la distruzione della coltivazione.
Tuttavia, tale limite è applicabile alla sola coltivazione e non all’alimento finito, o, più in generale ai derivati dalle suddette coltivazioni.
La stessa legge n. 242, all’art. 5 stabilisce che i livelli massimi di residui di THC ammessi negli alimenti dovranno essere definiti mediante un Decreto del Ministero della salute.
Tuttavia, ad oggi, un tale decreto non è ancora stato emanato.
E’ chiaro che il legislatore del 2016 abbia volutamente lasciato un ampio margine di incertezza nella regolamentazione di un prodotto tanto discusso.
Di conseguenza, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione per cercare di fare un po’ di chiarezza [4].
Nello specifico i giudici hanno escluso che la legge n. 242, richiamando la produzione di alimenti, abbia fatto riferimento all’assunzione umana degli stessi.
Inoltre, i giudici di legittimità hanno specificato che il commercio di foglie, infiorescenze, olio e resina ottenuti dalla coltivazione di Cannabis Sativa L. non rientra nell’ambito di applicabilità della legge n. 242 del 2016, la quale qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione della canapa.
Al contrario, la commercializzazione al pubblico di derivati quali foglie, infiorescenze, olio e resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990 (Testo Unico sulle sostanze stupefacenti), anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati nella legge n. 242 del 2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività.
Da ciò, ne segue che il rivenditore rischia di incorrere nelle sanzioni penali della reclusione da sei a venti anni e della multa da Euro 26.000,00 ad Euro 260.000,00 come previsto al comma 1 del sopracitato art. 73 [5].
Infine, non ci resta che attendere l’emanazione di un decreto da parte del Ministero della Salute che fissi i livelli massimi di THC consentiti nei prodotti ad uso alimentare. Solo in quel caso sarà lecito vendere prodotti alimentari contenenti residui di THC.
[1] Art. 17 della Direttiva 2002/53/CE del Consiglio Europeo del 13 Giugno 2002: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32002L0053&from=IT.
[2] Art. 2 L. 242/2016.
[3] Art. 4 L. 242/2016.
[4] Sentenza Cass. Sez. Unite n. 30475/2019.
[5] Art. 73 c.1 D.P.R. N. 309/1990:“Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000”.